La Storia

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Ovviamente è iniziato tutto qualche mese fa, ero a casa mia, come al solito. Sola.
Bene, guardavo la televisione, perchè purtroppo non riesco più nè a leggere per lungo tempo, nè assolutamente a lavorare a maglia. Improvvisamente è iniziato il telegiornale ed io mi sono come svegliata da un sogno. Ho preso il cordless ed ho chiamato mia nuora:
"Lu, per favore mi dici che ore sono? Qui a casa l'orologio dice le otto, ma non possono essere ancora le otto del mattino e poi è iniziato il telegiornale, quindi sarà l'ora di pranzo e l'orologio è fermo. In realtà io ho un certo languore!"
Avevo parlato tutto d'un fiato piuttosto convinta di quello che stavo dicendo e quindi mi sono stupita della risposta di mia nuora e delle sue mille domande.
"Mamma, ma sono le otto di sera, io sono rientrata adesso dal lavoro. Non hai mangiato niente oggi? E le medicine? Non le hai prese?"
E le mie risposte hanno ovviamente stupito lei:
"Come le otto di sera? Io ricordo di aver fatto colazione. Il pranzo ..." esitai mentre ci pensavo veramente "non ricordo di averlo fatto. Le pastiglie, forse solo quelle del mattino. Ma sei sicura che siano le otto di sera?"
Allarme nella sua voce: "Aspettami, vengo a prepararti qualcosa per cena".

Ecco come è iniziato il mio ultimo calvario, ultimo in ordine di tempo e spero davvero che sia proprio l'ultimo di tutta la mia vita.

Sono stanca di soffrire.


Prima carta

Da quel giorno avevo iniziato a vivere in prestito: un po' a casa di mio figlio e un po' a casa della sua prima moglie, mia nuora appunto. A volte c'era qualcuno che veniva a casa a pranzo, per farmi mangiare e accertarsi che prendessi le pastiglie, a volte no. La sera ero sempre stanca, di fare che non si sa, e andavo a letto presto. Quindi, a parte li fatto che non dormivo più nel mio letto e nella mia casa, la situazione non era cambiata di molto. Passavo tutto il giorno da sola. E, cosa che odiavo profondamente, così mi sentivo di peso a molte persone. Sballottata come un pacco postale, senza mai sapere dov'erano le mie cose.



Non riuscivo a capire a che punto fossi. La mia vita e la mia strada mi avevano portato fin là. Ma il bello stava per cominciare.

O forse no! Punti di vista.
Uno di quei tanti giorni tutti uguali mi ero ritrovata per terra, dolorante e stordita con mio nipote chinato sul viso a sussurrarmi: "Nonna, nonna. Stai bene? Aspetta che ti metto seduta sul divano".
"No!" avrei voluto urlare " non mi muovere da qui", ma in relatà non capivo bene dove mi trovavo. Ero sdraiata su qualcosa di duro e freddo, il pavimento.
Probabile.
Lui comunque mi prese in braccio, con quel poco che mangiavo ormai da mesi ero leggerissima per lui e mi poggiò sul divano, semi sdraiata, prima di chiamare il pronto soccorso. Poi il padre, il suo ovviamente.
Passai dieci giorni all'ospedale sdraiata su un letto, poi venni trasferita in un altro posto.



Ora eccomi, vecchia, dolorante e maledettamente accasciata su questa odiosa sedia a rotelle. Una caduta, un'operazione difficile e dolorosa, una settimana al confine con la morte. Adesso la casa di riposo, squallida e povera peggio dell'ospedale. Solo una cosa mi teneva ancora il sorriso appiccicato alle labbra: sapere che domani avrei rivisto le mie nipoti. Nessun'altra ha questa mia fortuna, non le vecchine di qui.


Seconda carta

Sono stanca e mentre osservo la varietà di disgrazie (non mi tiro fuori ovviamente, anch'io faccio parte di quella varietà) che mi circondano, mi assopisco qui seduta.
Probabilmente qualcuno mi porta sul letto, neanche mi spogliano e mi cambiano, dovevo essere proprio sfinita. Da più di dieci giorni non prendevo una boccata di aria e uscire per essere portata in una nuova realtà, dopo quello che mi era successo...
In fin dei conti io sono una persona malata.
E va bene, ecco la realtà, ieri sera mi sono addormentata sulla sedia a rotelle, non c'è altro da dire.


Non mi sono nemmeno accorta di aver chiuso gli occhi. Poco male, adesso è domani e quando li riapro loro, le mie nipoti, sono già qui. Guardatele sono bellissime, ma non mancano di intelligenza ed umanità. Sarà questo il mio destino: affidarmi completamente a loro, così come loro si sono sempre affidate a me ed ai miei racconti per imparare la vita. Guardatele, guardate i loro occhi, mi ameranno. Sarà meraviglioso.


Terza carta




Efficienza mi sorride come apro gli occhi. Non perde tempo lei e insieme ad Amorevolezza, che mi sta carezzando i capelli dolcemente, mi tirano su dal letto, mi spogliano e mi portano a lavarmi. Di peso, certo solo un peso morto. E' il mio primo giorno qui e la stanza è spoglia, impersonale. L'acqua fredda mi sferza l'anima e mi rischiara i pensieri, tra il pulsare del dolore alla gamba penso: "tornare a camminare!"

Quando ho loro al mio fanco mi sento sicura e più forte, penso che se farò con costanza la fisioterapia e la ginnastica riabilitativa, sicuramente, riuscirò a riprendere a camminare. Gli antidolorifici che ho in corpo e la mia testa bacata che sta andando alla deriva, mi fanno dimenticare che il problema non è la gamba appena operata, ma la schiena. Una groviera che non mi sostiene più da metà della mia vita.
Ma presto me ne ricorderò, eccome se me ne ricorderò.


Quarta carta  

L'impegno che ci metto a fare gli esercizi è molto, veramente, o almeno io penso che sia molto. Sicuramente è il massimo dell'impegno che ho realmente voglia di metterci.
Da quando sono qui alla casa di cura non vengo più imbottita di medicinali, soprattutto gli antidolorifici. Peccato, perchè iniziano veramente a mancarmi, quello che ero prima di cadere ed essere operata, mi ritorna alla mente vivido ogni giorno di più e si appiccica al mio corpo di nuovo con il suo carico di dolori e difficoltà.
Una vecchia acciaccata: ecco cos'ero.
E quando mi lavano guardo il mio corpo martoriato dove spicca rossa a prominente una nuova cicatrice, proprio sulla coscia.
L'ho sempre detto ai medici che avrebbero fatto meglio a mettermi una cerniera davanti e una dietro. Con tutte le volte che sono stata operata. Sul mio corpo accartocciato si distende cicatrice dopo cicatrice la viabilità di Milano. Io ci sono nata a Milano, sapete? Sì forse ve lo avevo già detto.
Lo sto raccontando anche al fisioterapista durante la mia prima seduta. Chissà che mi lasci un po' di respiro, non riesco neanche a poggiarla a terra la gamba, figuriamoci caricarla con tutto il peso del corpo.


Iniziano così per me giorni difficili, i più difficili di tutta la mia vita. A ottantasei anni devo ricominciare con i sacrifi e le rinunce. Tutti i giorni a litigare con un corpo che non vuole essere più mio, con una mente che mi porta lontano dalla casa di cura. Non ho più voglia di lottare. Chi me lo fa fare? Cosa? "Non fare così!" mi dico ripetendo le parole delle mie nipoti, ma la mente va via e non la fermo.

Quinta carta  



Io l'avevo sempre detto alle mie nipotine che sarei invecchiata volentieri finchè avessi mantenuto la sanità di mente. Ora non è più così, non so che giorno è, che ora della giornata è, a volte non ricordo neanche se ho mangiato, figuriamoci che cosa. E pensare che fino all'anno scorso cucivo, lavoravo a maglia e tutti i giorni facevo le parole crociate: ricordavo benissimo a memoria la maggior parte delle risposte.

Adesso invece, spesso credo di ripete le domande, lo leggo negli sguardi di quelli che mi danno le risposte, e non ho mai un riferimento temporale. Neanche vedere intorno a me persone nelle mie medesime condizioni mi tira su di morale. Però, provate a chiedermi del mio Talvor, mio marito Pietro, qualunque cosa: ricordo tutto come se fosse ieri. E' morto da più di dieci anni, ve l'avevo già detto? Forse sì, non ricordo. Eravamo una coppia tradizionale, una di quelle che stanno insieme finchè morte non vi separi e anche oltre. Nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Nei periodi di amore e in quelli in cui c'era da litigare.
Ricordo il giorno del funerale, ho letteralmente fatto pensare ai miei che ero uscita di senno. Talvor si è fatto cremare, io non ero molto convinta e non lo sono neanche adesso, ma lui era deciso così anche io lo seguirò alla mia morte. Quando lo abbiamo lasciato in quell'urna nella sala del tempio qualcosa in me si è come incrinato. Mio figlio non voleva portarmi a casa da sola e mi ha portata a casa con sè, mia nuora e i ragazzi. Pranziamo e mi metto a riposare. Mi sveglio di soprassalto chiamandolo a gran voce: "Cosa ci faccio qui?" domando concitata "perchè abbiamo lasciato papà da solo? Portami a casa. Lui non può stare da solo". Parlavo velocemente e cercavo di rivestirmi le scarpe che non entravano già più nei miei piedi ormai gonfi.
"Mamma..." non sapeva come dirmelo "mamma, papà ..." altra pausa "papà è morto, lo abbiamo cremato oggi. Mamma, non te lo ricordi?" Non mi sono neanche stupita delle sue parole, volevo tornare a casa mia, dal mio Talvor, altro non sentivo. Hanno chiamato il dottore che è venuto a casa: 15 gocce di lexotan, come prima dose.


Sesta carta

Qui i giorni si susseguono tutti uguali, sempre le stesse persone con cui parlare, anche se spesso penso sia un bene che ci sono, sempre gli stessi litigi tra vecchi incartapecoriti i cui difesti di tutta una vita hanno preso ad essere i pregi migliori, sempre la solita ginnastica.
Ecco, odio la ginnastica, la fisioterapia. La schiena mi duole, non c'è niente da fare. Anche la mia dottoressa ultimamente non faceva altro che dirmi "Signora, mi dispiace ma lei con questi dolori dovrà conviverci per tutto il resto della sua vita. Quando proprio non ce la fa più prenda un antidolorifico, per quel poco che può fare". Già gli antidolorifici che qui non mi danno più. Certo quelli che prendevo a casa non è che mi facessero un granchè, se avessi bevuto un bicchier d'acqua con un pezzo di pane invece di prendere la pastiglia o la bustina, avrebbe sortito lo stesso effetto sui dolori di schiena. Però quando stavo all'ospedale, almeno lì avevo fatto pace con i miei dollari. No, non è un errore di pronuncia, mi piace vedere il sorriso sulle labbra delle mie nipoti quando li chiamo così. E' un gioco tra noi.
La carrozzina si ferma davanti alla porta chiusa della palestra ed io sospiro. Va be. Entriamo, tanto anche questo tempo deve passare.



Mi sento fissata: è una delle quotidiane sedute in palestra con il fisioterapista e c'è qualcuno che mi fissa dalla porta. La voce alterata dallo sforzo e da una rabbia latente, domando al ragazzo che sta aiutando a rimettermi seduta: "Chi è che mi spia?". "Sono io, mamma" mi risponde una voce che conosco bene. Quella di mio figlio, il primo dei tre. Perchè provo tutta questa rabbia? Contro di lui? Contro di me? Non so.

Settima carta



"A sei tu!" Acida più del dovuto "Vedo che fai tanto per me, peccato tu non riesca ad esaudire il mio più grande desiderio adesso". "Mamma, sai che solo il Signore può esaudire certi desideri e poi" sospira "lo sai che devi stare attenta a ciò che desideri. I desideri possono sempre avverarsi in modo imprevedibile. Come ora". "Lo so" mi volto a guardarlo "non dovevo esprimere quello, vero? Così non è proprio giusto". 

Ottava carta 




Faccio un cenno al ragazzo della fisioterapia perchè mi spinga verso la porta. "Non dovevo desiderare che succedesse qualcosa, vero?" Lui non c'era quel giorno ma so che sua moglie gli ha raccontato cos'ho mormorato prima che uscisse. "Dovevo desiderare di morire. Non questo. Tutto, ma non questo". Gli occhi di mio figlio si adombrano di tristezza, ma è la realtà e non la posso negare. Odio far loro del male, tanto.

E' vero la mattina in cui sono caduta, mentre scendevo le scale di casa aiutata dalla seconda moglie di mio figlio, le ho detto che non ce la facevo può, che volevo assolutamente che "succedesse qualcosa". L'ho vista impallidire. Ovviamente sapevamo entrambe che cosa avrei voluto che succedesse e adesso sapete anche voi che cosa è realmente successo. Io speravo che il Signore mi chiamasse a sè, mi chiedesse di tornare al fianco di mio marito, invece il destino si è preso ancora una volta beffe di me. Mi ha imposto una nuova prova che io non ho voglia di superare. Lo so che lo avete capito, mi manca la voglia, ma io intendo ribadirlo finchè non esalerò il mio ultimo respiro. Non ho più voglia di stare su questa terra a soffrire per niente. La mia vita è finita, lascio il testimone, cedo la palla ai miei tre figli, alle nuore, ai cinque nipoti e ai miei primi tre pronipoti, senza contare tutti i nipoti che ho come zia e la famiglia di origine di mio marito. Il mondo è loro. Anche la storia.


Nona carta

Invece no, la storia è ancora mia e devo continuare a scriverla finchè qualcuno non riuscirà a mettere la parola fine dopo l'ultimo paragrafo, l'ultima frase, l'ultimo punto.
Sono stanca di tutto anche di far soffrire i miei, sono stanca di lottare anche per affermare che sono stanca e vedere il terrore nei loro occhi. Non riesco a guardarli negli occhi quando gli dico che vorrei poterla fare finita.
In realtà non farei mai niente per toglermi la vita, ma sperare che il buon Dio mi chiami a sè. Questo non è sbagliato. O no?
Adesso sto guardando mio figlio negli occhi e già so che sta per arrivare l'ennesima prova, lo vedo proprio in quella ruga profonda che si sta articolando sulla sua fronte. Sospiro e mi preparo.




"Mamma, me la fai una promessa?" domanda mio figlio e senza attendere risposta: "Mi, anzi CI prometti che farai tutto quello che è nelle tue forze per uscire da questa situazione? Per favore!" Mi fermo a guardarlo e vorrei urlargli che sono tutti degli egoisti, che non capiscono quanto sia difficle vivere così ma che non ho più voglia di fare altro. Semplicemente gli rispondo: "Farò quello che è meglio per me, sì!"

Sibillina la mia risposta, ma almeno sono riuscita a guardarlo mentre parlavo. Non è detto che, quello che io ritengo sia meglio per me, corrisponda davvero a quello che è meglio secondo loro. Io farò tutto ciò che è nelle mie forze per uscire da questa situazione, certo qui non ho mentito, quale che sia l'uscita di scena che mi sarà concessa.


Decima carta 
 


Mi lascio portare fuori dalla palestra dove mi attendono Efficienza e Amorevolezza, entrambe mi sorridono. Una mi prende per mano, l'altra mi carezza sulla testa. Forse avrei bisogno del loro aiuto per arrivare dove desidero, ma come chiedere? Come ottenere? Loro mi amano e so che mi posso fidare, ma anche l'amore più grande può non essere disposto a tanto. Non chiederò nulla alla fine, mi cullerò solo nel loro amore.

E nella certezza che loro già sanno quali sono i miei intendimenti sull'accanimento terapeutico. Ne abbiamo parlato tante volte. Io non voglio diventare una macchina vivente e non pensante. Già così mi è di peso.
Solo ora mi fermo a ragionare su alcune cose. Vi siete accorti che da quando sono qui alla casa di riposo la mia mente ha ripreso a funzionare? Beh, non proprio completamente. Provate a chiedermi adesso cosa ho magiato a pranzo e non otterrete alcuna risposta oppure, per non farmi notare, potrei rispondervi con la prima cosa che mi passa per la testa, probabilmente non vera. Però il fatto che le giornate siano scandite da ritmi, che sono altri a mantenere per me, mi aiuta molto a non perdere più il senso e la direzione delle giornate. Poter parlare con qualcuno, anche se non tutti gli anziani che mi circondano offrono buoni spunti di dialogo, ha rinnovato la mia energia. Non mi capita più di fissare il vuoto in cerca del pensiero da esprimere o della parola che non ricordo. Mi fa bene stare qui.


Undicesima carta

Ma non divaghiamo davvero e torniamo al punto principale: quanto è lontana la fine? Quanto ancora dovrò soffrire? Per quanto tempo la dovrò ancora desiderare senza poter fare altro che quello? Per quanto ancora dovrò pesare sulla mia famiglia? Perchè lo so che per loro è un peso questo continuo avanti e indietro, vedermi qui, sapermi non autosufficiente. Ma non posso fare diversamente e per le necessità quotidiane dovrò ancora appoggiarmi a loro.



Per il resto farò da sola, così come sono abituata a fare da più di dieci anni. Si è vero, li ho sempre avuto tutti intorno, be non proprio tutti, ma quelli che sono qui per me ci sono sempre stati. Ma alla fine ho spesso voluto fare tutto da sola, restare da sola, provvedere a me stessa senza pesare sugli altri. Dalla morte di mio marito. Orario di visite finito e neanche me ne sono accorta, persa nei miei pensieri.

Dodicesima carta

Vedete cosa mi succede? Quando mi metto a pensare mi perdo completamente, occhi fissi al pavimento. Mio figlio, mia nuora e i nipoti parlavano intorno a me cercando di coinvolgermi nei loro discorsi, nel quotidiano della loro vita e sicuramente io gli sorridevo, annuivo alle loro domande ma non stavo ascoltando una parola.
Sento i loro baci sulle guance e li vedo andare via con un senso di perdita. Ogni giorno è uguale all'altro, scandito da orari precisi, movimenti precisi, ritmi giorno veglia cadenzati, sempre uguali a se stessi. Ogni giorno. Anche oggi.




La giornata passa lentamente e finisce abbastanza presto, mentre un malessere si sta diffondendo dentro di me. Non è che ci faccio molto caso, sicuramente ha a che vedere con il mio umore di oggi. Mi mettono a letto le infermiere della casa di riposo, mi sistemano le coperte e spengono la luce. Quasi subito mi addormento, ma mi risveglio nel cuore della notte sudata. Non riesco a respirare è buio, non posso chiamare. 

Tredicesima carta

Un dolore forte e persistente al petto, sento i polmoni come di piombo, la testa mi pulsa velocemente. Faccio fatica a muovere le mani, ad allungare il braccio verso il pulsante per chiamare l'infermiera del servizio di notte.
Magari se sto tranquilla passa, magari non è niente. Penso convulsamente a mille soluzioni, pian piano mi allungo sul letto e raggiungo con la mano la testiera. Le dita percorrono il legno come un ragno la sua ragnatela, lente a cercare il pulsante. Il respiro è sempre più corto. Decido di fermarmi un momento non appena trovo ciò che sto cercando. Cerco di tirare qualche lungo respiro, ma l'aria non entra e non esce dai miei polmoni. Il dolore al petto è sempre più forte. Decido di poggiare il dito sul pulsante e lì mi fermo.




Ma poi alla fine, desidero veramente chiamare? Desidero che qualcuno ancora una volta riannodi il filo di questa vita che sta scomparendo? NO, NO e poi ancora NO io non lo voglio. Io voglio che "succeda". Pensieri affollano la mente, immagini, scorci di passato, di presente irreale, situazioni, parole, le ultime carezze ricevute, i nomi... ricordo tutti i nomi. Rantolo silente, la vicina di letto chiama l'infermiera. 

Quattordicesima carta

Mentre entro in uno strano mondo di incoscienza mi domando se essere grata alla vicina di letto o, se mi riprenderò, chiederle per la prossima volta di farsi i fatti suoi. Diverse persone armeggiano intorno al mio corpo, mi sollevano e mi trasportano su una barella. Sento il gelo sulla punta del naso, ma sul resto del corpo solo il tepore delle coperte. Il mondo gira sotto di me nel buio della notte. Luci soffuse, poi di nuovo il mondo che gira. Porte si aprono e si richiudo, ne percepisco solo il rumore dell'aria che viene risucchiata in mezzo. I miei sensi sono come acuiti dallo stato incosciente. Un faro mi viene acceso sul viso, diverse persone armeggiano intorno al mio corpo, aghi, sonde, ventose. Rumori iniziano a ronzarmi nelle orecchie. Nuovamente il mondo gira sotto di me e d'un tratto si ferma.


Gli occhi non si aprono ma capisco che il posto dove mi trovo è in penombra. Rumori regolari mi circondano: c'è un bip abbastanza rapido, una specie di soffio che procede più lento, sporadici rumori metallici. I miei mi sono vicino, non riesco a vederli ma sento anche loro: un bacio sulla fronte, una carezza, qualcuno mi sfiora la mano. Adesso devo solo trovare il coraggio di accettare quello che verrà, come sarà.

Quindicesima carta

“Va tutto bene, i parametri vitali sono buoni. Si salverà” queste le parole di speranza che si rincorrono tra i medici e i miei cari raccolti al mio capezzale. “Va tutto bene, Ermana” anch’io me lo ripeto, perché mi trovo qui con il mio unico desiderio degli ultimi mesi quasi realizzato ed ho PAURA. Sì è vero, volevo cedere il passo e adesso che sta per succedere ho paura. Anche Bibi me lo ripete accarezzandomi. Lei è mia nipote, quella che negli ultimi giorni è stata per me Efficienza e Amorevolezza. Mi ripete “guarirai nonnina, guarirai” anche se sa che la mia guarigione significa per loro altri sacrifici. In questo silenzio un giorno apro gli occhi vigile, mi viene concesso di regalare un sorriso a tutti: i miei tre figli, beffardo il destino loro quasi non si parlano da anni, le mie nuore che sono quattro, tutti i miei nipoti meravigliosi. Li guardo e annaspo in me stessa, nei miei pensieri: se io morirò loro si disgregheranno, a questo non avevo pensato. Loro son qui per me, adesso, e dopo? Ognuno per la sua strada. Negli ultimi tempi non siamo stati una famiglia molto unita e nel mio egoismo a questo non avevo proprio pensato. “Va tutto bene”. Ho deciso, adesso non voglio morire. Mi addormento con questo ultimo pensiero. Per sempre.


Ermana Stealt